Tuesday 29 September 2015

MAMME AL TIMONE



Come sapere se stai facendo la cosa giusta.


La Nike non chiede permesso a nessuno.


Chissà chi chissà quando si è inventato l'idea che ci sia una cosa giusta da fare quando si è genitori.
Tutto comincia quando sei incinta.
Test positivo? Ecco la lista delle cose giuste

1. Lava tutto con l'Amuchina e non mangiare insalata al ristorante.
2. Vai dal dottore.
3. Tieni il segreto fino al terzo mese. 
4. Non portare pesi.
5. Non fare sport. *


Sorvoliamo sul fatto che queste cinque raccomandazioni lasciano il tempo che trovano 
(1. È infatti estremamente probabile che un gatto infetto abbia pisciato sull'insalata coltivata nella plastica di una serra spagnola. 
2. Solo un dottore può sapere come stai. Mi raccomando non ascoltarti mai! 
3. Così salvi la faccia se per caso fallisci - perché di fallimento si tratta. Sia chiaro che la tua famiglia e i tuoi amici non sono una grande risorsa e non ti staranno mai vicini nel caso il piccolino ti lasci.
4. Quindici chili di primogenito si possono portare, ma due chili di spesa no. Evidente.
5. Così se poi per caso qualcosa va storto non vieni a dare la colpa a me. )

Lasciamo perdere che queste cinque piccole frasi dall'aria innocente ti costringono subito nel ruolo della paziente che deve fare la brava altrimenti attirerà su di se e su suo figlio infinite disgrazie.

E stendiamo un velo pietoso sul fatto che in loro è già racchiusa la Grande Maledizione di Tutte le Mamme: se dovesse accadere qualcosa di negativo, sarà colpa tua. Se le cose andranno bene, sarà grazie a qualcun altro (Medico, Farmacista, Dietologo, Papà, Nonna, Prozia…anche Fortuna a volte. Te no).


Nonostante tutto, queste raccomandazioni, un merito, ce l'hanno: sono esplicite.
Una sa di cosa si tratta. Può pensarci, rifletterci, eventualmente rifiutarle.


Invece poi quando il bambino arriva e l'espressione della sua individualità inizia a venire in contrasto con la nostra (dopo un giorno, dopo sei settimane, dopo due anni… dipende), ecco che ci guardiamo intorno per capire quale sia la cosa giusta da fare e troviamo il nulla.
Cioè troviamo trentamila libri con diecimila metodi impossibili da mettere in pratica e che si contraddicono uno con l'altro.

Però noi ci ostiniamo a credere che ci sia una verità e che da qualche parte ci sia qualcuno che la conosce...e che ci giudica se per caso infrangiamo una delle sue leggi ferree.


Deve dormire in camera nostra o nella sua cameretta? È normale che pianga quando lo porto all'asilo? È giusto che stia con la nonna? Qual'è l'intervallo ideale fra il primo e il secondo figlio? Il web pullula di domande di questo tipo e di risposte più o meno perentorie da parte di esperti più o meno qualificati, più o meno in buona fede. 

E allora noi ci sentiamo come quando a scuola non ci eravamo preparate per l'interrogazione di storia: non abbiamo imparato la lezione e il giudizio sarà tremendo.


"Ho lasciato addormentare il bambino alla tetta." Diciamo abbassando gli occhi con aria contrita.
"Dopo cinque minuti sono andata a prenderlo perché non ce la facevo a sentirlo piangere così. Sono stata debole."
" Cedo sempre quando fa i capricci."
E giù di "mea culpa" dalla mattina alla sera e dalla sera alla mattina (visto che spesso siamo sveglie anche la notte...e quale miglior momento per sentirsi una m***da se non la notte?).


La buona notizia è che questo "Dio delle Mamme" che controlla e giudica NON ESISTE. La cosa giusta da fare NON C'È.
Ci sono tante coppie mamma-bambino. Ogni mamma è diversa. Ogni bambino è diverso. 
Ci sono tante soluzioni quante ci sono bambini (chi ha due figli o più confermerà). 
Se proprio vogliamo credere in un Dio delle Mamme, facciamo che sia quello che ci aiuta a trovare la soluzione giusta per noi.


La brutta (ma poi neanche così brutta) notizia è che quel lavoro di giudizio dobbiamo farlo noi, a monte. Sta a noi decidere se sia giusto o no per nostro figlio e per noi, adesso, che lui (per fare un esempio a caso) si addormenti alla tetta. Cosa ci ricava lui? (Il Nirvana? Nutrimento? Conforto? Controllo su di noi?) Cosa ci ricaviamo noi? (Un po' di pace? Una bella coccola? Una schiavitù?) Cosa costa a lui? Cosa costa a noi?
Volta per volta, si considera, si pondera, si decide. E poi si fa a testa alta. Senza mea culpa e senza scuse.

Il bambino ciuccia beato e si abbandona lentamente a Morfeo? Godiamoci la coccola e la pace.
Viviamo la poppata serale come una schiavitù? Mettiamo biberon e papà a buon uso e godiamoci un momento per noi.
Non sopportiamo di sentir piangere nostro figlio? Beato lui: ha una mamma che sa mettersi nei suoi panni. Imparerà presto anche lui a ricambiare.
Ci sentiamo manipolate dai pianti del nostro bambino? Annunciamo chiaramente qual'è il nostro limite e applichiamolo con costanza. Nostro figlio avrà un ottimo modello di espressione dei propri bisogni.


Sta a noi di decidere.
Siamo noi la massima autorità.
Gli altri (nonne, vicini, dottori, pedagogisti, psicologi, filosofi e neuroscienziati) sono meri consulenti che possono fornirci informazioni sulla base delle quali noi prenderemo le nostre decisioni.


Siamo al timone di una nave unica e irripetibile. Abbiamo la responsabilità e abbiamo il potere. Esercitiamoli con giudizio e godiamoci la rotta.


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* Questo articolo non consiglia a tutte le mamme di ignorare queste regole. Qui si mette la mamma dove deve stare: al timone della sua vita e a quella di suo figlio. Hai bisogno di insalata? Rifletti e se è il caso, mangiatela. Io (Silvia), durante la mia prima gravidanza, ho messo su 25 chili a forza di panini al prosciutto e formaggio del bar sotto lavoro. Non sono più convinta di aver avuto un comportamento  particolarmente saggio.

Thursday 24 September 2015

Quando il parto uccideva. 3 cose che è bene ricordare.

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Quando si parla di parto rispettato, de-medicalizzazione del parto o addirittura -sacrilegio!- parto in casa c'è un muro contro cui inesorabilmente andiamo tutte a sbattere. E' la voce sinceramente convinta, quando non risentita, con cui l'interlocutore ci ribatte: "Ma di parto si moriva!"
Di fronte all'apparente inconfutabilità di questa frase, il terrore che sempre nella nostra cultura subdolamente segue l'argomento "parto" guadagna terreno e si rimette al comando.

Di parto si moriva. E anche parecchio, è vero. Nell'800, per non sbagliare, alla donna in travaglio si dava l'estrema unzione!
E si moriva di influenza.
E di morbillo.
E anche di infezioni propagate da a un taglietto nel dito.
La brutta notizia è che lo scocciante fatto che tutti dobbiamo morire non l'abbiamo ancora risolto.
La buona notizia è che sperare di diventare nonne non è poi così assurdo.

Il punto è che noi ci siamo abituate a pensare al parto come un pericolo cui scampare. Sempre e comunque. Una prova sadica che la vita ci pone davanti e qualche professionista iperqualificato forse ci aiuterà a superare.
E questa mentalità è urgente, veramente urgente, prenderla a picconate.

Ci sono (almeno) 3 cose che è bene ricordare quando il nostro interlocutore -o la vocina saccente in fondo alla nostra testa- alza il ditino per dirci che "Di parto si moriva!"

Tuesday 15 September 2015

Chi parla bene pensa bene. E partorisce meglio. Anche un VBAC.


Dove inizia un buon parto?
Nella sala del ginecologo? Sbagliato.
In sala parto? Sbagliato.
Un buon parto inizia nella nostra testa.

Quando inizia un buon parto?
Alla morfologica quando ci dicono che va tutto bene? Sbagliato.
Quando entriamo in ospedale? Sbagliato.
Un buon parto inizia prima ancora di aver concepito nostro figlio.

Il parto inizia a prendere forma nella nostra testa prima ancora che il nostro corpo sia in grado di accoglierlo un figlio, figuriamoci partorirlo. Inizia nella nostra testa di bimbe: quando davanti a una bambola sappiamo che la pancia da cui ci si aspetta che debba uscire è la nostra, non quella di nostro fratello.

E' da quel momento che il nostro cervello inizia ad assorbire input riguardo al nostro diventare madri. E come fa per tutto il resto delle esperienze della vita, inizia a costruirsi un database -prevalentemente inconscio- di informazioni e immagini a cui attingeremo -prevalentemente inconsciamente- al momento buono.